Max Ernst nasce a Brùhl, in Renania, il 2 aprile 1891. È una grossa famiglia, quella degli Ernst. Otto figli, di cui tre maschi, (una sorella, Louise, morirà uccisa dai nazisti). Philippe, il padre, ha un lavoro piuttosto fuori del comune: è istitutore in un ritiro per sordomuti. Ma oltre a questo è anche pittore. Il vescovo lo incarica di far delle copie dai classici, e lui le esegue minuziosamente, però ci mette dentro le persone che conosce, gli amici come angeli, i nemici come diavoli. Le prime letture di Max Ernst sono Verne, Grimm, Hoffmann, Lewis Carrol. Nel 1909 Max Ernst segue all’università di Bonn i corsi di filosofia. Vorrebbe specializzarsi in psichiatria. Non esiste più niente della sua produzione pittorica di quegli anni, ma il clima culturale in cui si sviluppa il suo lavoro è un clima intensamente romantico. È in rapporto con il gruppo « La giovane Renania », guidato da August Macke, pittore, poeta, saggista; con il gruppo del « Cavaliere azzurro » di Monaco (cui fanno capo anche Kandinsky e Franz Marc); con « Der Sturm », una rivista berlinese di avanguardia. Quando Apolli- naire viene a Bonn a trovare Macke, Ernst passa con lui due ore a parlare d’arte, anzi, a sentirlo parlare d’arte, ‘conquistato’ , come dirà, da quelle rivelazioni. Ma sarà nel 1911, in una mostra a Colonia, davanti a opere di Vàn Gogh, Cézanne, Picasso, che Max Ernst avrà completa coscienza della sua vocazione di pittore. Nel 1913 fa la conoscenza di Hans Arp, a Colonia. È Arp che gli fa leggere Rimbaud. Con la guerra, Max Ernst deve fare il soldato per due anni. Lui, e gli altri del gruppo, dirà, avevano « il cuore pieno di rabbia » all’idea di sacrificare « le loro magnifiche vite » per niente, per qualche parola retorica. Nel 1918 sposa Lou Strauss. Nel 1919, durante un soggiorno a Monaco, scopre le pubblicazioni Dada di Zurigo e un numero della rivista italiana « Valori Plastici », dedicato a De Chirico: saranno due momenti basilari, per lui. I suoi rapporti con i dadaisti lo portano a rompere con il gruppo della «Giovane Renania». Nel 1920 espone oggetti Dada insieme ad Arp. Poi incomincia a lavorare ai collages. Nel 1920, inviato da André Breton, espone alla galleria « Sans Pareil » di Parigi. Nel 1920, a Colonia, si incontra con Kurt
Schwitters, che gli mostra i suoi collages. Poi sarà Max Ernst Ernst che andrà a trovare l’amico, nella sua casa di Hannover, piena di costruzioni fantastiche fatte di rifiuti, di oggetti trovati per strada. Durante l’estate, a Tarrenz, in Tirolo, si incontrano gli artisti d’avanguardia di tutta Europa. C’è Tzara, e anche Breton. Paul Eluard va a trovare Ernst a Colonia, si entusiasma al suo lavoro e gli acquista alcuni quadri. Ed è Eluard che convince Ernst a trasferirsi a Parigi nell’agosto del 1922.
A Parigi la vita è dura, per Ernst. Deve lavorare in una fabbrica di ricordini. Ma si incontra quotidianamente con Eluard, Desnos, Picabia. Tornando da un viaggio in Estremo Oriente, iniziato al seguito di Eluard, Ernst trova a Parigi, nel 1924, il « Manifesto del Surrealismo », di Breton, e vi riconosce le sue idee più profonde. Nel 1925, colpito dalle frasi di Leonardo sulle immagini racchiuse in una semplice macchia, inizia i ‘frottages’. Nel 1926 pubblicherà i frottages della Histoire na- turelle con prefazione di Arp. Nel 1926 una sua mostra alla galleria Van Leer ha grande successo. Ora può dedicarsi solo alla pittura. Poi, le altre amicizie che contano: con Panguy, con Giacometti. Nel 1936, dopo un decennio di lavóro intensissimo, incomincia ad usare la tecnica della decalcomania, comprimendo il colore tra due tele o tra una tela e un foglio di carta. Con lo scoppio della guerra, Ernst deve spostarsi da un campo di concentramento per stranieri all’altro, nel terrore di cadere in mano ai nazisti. Nel 1940, a Marsiglia, mentre è in attesa di partire per gli Stati Uniti, conosce Peggy Guggenheim. La sposerà appena arrivato in America, ma divorzierà sei mesi dopo. È con Doro tea Tanning, pittrice surrealista americana, che Max Ernst si stabilisce a Sedona, in Arizona. Quando nel 1949 torna a Parigi con sessanta tele, la sua mostra da Drouin non ha un gran successo commerciale. Ci vorranno parecchi anni prima che le sue opere vengano valutate secondo il loro valore. Il gran premio alla Biennale di Venezia del 1954 (che gli costerà la ‘scomunica’ di Breton, papa del movimento surrealista) sarà il segno di un riconoscimento aperto e generale.
Ed è proprio a Venezia, a Palazzo Grassi, che nel 1966 Max Ernst tiene una grande mostra, intitolata « Oltre la pittura ».
Emilio Tadini
Dal n°188 de I maestri del Colore, 1967